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Il problema della raccolta dati utente: da Analytics agli zero party data

SelfCommunity Team

Google Analytics 4: è davvero la soluzione ai problemi di Universal Analytics (e delle aziende)?

Mentre Universal Analytics ha destato preoccupazioni in materia di privacy, trovandosi nel mirino di vari Garanti europei della privacy, Google Analytics 4 emerge promettendo di sistemare le cose. Ma in un mondo sempre più digitale e interconnesso, dove la protezione dei dati diventa una priorità non solo legale, ma anche etica, può GA4 realmente essere la panacea che le aziende sperano?

Dall’anonimizzazione dell’indirizzo IP alle impostazioni di limitazione della raccolta di dati, GA4 sembra adottare una serie di passi in avanti. Tuttavia, non tutti sono convinti della sua efficacia. Ecco dove entra in gioco una nuova prospettiva, gli zero party data.

Nel seguente articolo esploreremo questa nuova frontiera illustrando i suoi vantaggi per le aziende che intendono rimanere competitive sul web.

 

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Universal Analytics e la raccolta dati: l’intervento dei Garanti europei della privacy

Come noto, Analytics (GA) è un servizio di Google che permette di monitorare il traffico e il comportamento degli utenti su un sito web, potenzialmente molto utile per i proprietari di portali internet che vogliono ottimizzare le loro strategie di marketing e di contenuti.

D’altronde, l’efficacia delle campagne digitali dipende in buona parte dalla capacità delle aziende di personalizzare la loro comunicazione in funzione delle caratteristiche degli utenti. E monitorandoli durante la navigazione è possibile conoscerli in profondità e, di conseguenza, strutturare strategie di marketing mirate.

Il problema però, come abbiamo visto a cavallo tra il 2021 e il 2022, risiede nel fatto che la terza versione di Analytics, meglio nota come Universal Analytics, raccoglieva e analizzava una serie di dati personali degli utenti, come il loro indirizzo IP, la loro posizione geografica, il loro dispositivo, il loro browser, le loro preferenze, le pagine visitate, il tempo trascorso sul sito, le conversioni effettuate e altro ancora, trasferendo tali informazioni in server situati negli USA. Un Paese nel quale il livello di protezione dei dati degli utenti è considerato inadeguato dai Garanti della privacy di vari Stati membri dell’UE.

Il primo a denunciare questa illiceità è stato quello austriaco a fine del 2021, seguito nei mesi successivi da altri Garanti tra cui quello italiano, i quali hanno sottolineato l’illiceità della gestione delle informazioni raccolte da parte di Google Analytics. E, anche per far fronte a questo enorme problema legale, l’azienda di Mountain View ha tentato di intervenire sui suoi strumenti di analisi per renderli ‘GDPR compliant’, rilasciando di recente Google Analytics 4.

 

Analytics 4: ambizioni per la protezione dei dati, ma è davvero sicuro?

Il problema è che Analytics 4 cerca di correggere le criticità al livello di protezione dei dati personali degli utenti, ma sembra non farlo in maniera sufficiente.

Senza scendere nei dettagli tecnici, questo nuovo sistema si propone di risolvere la questione in due modi:

  • ‘anonimizzando’ determinate informazioni relative agli utenti come l’indirizzo IP;
  • mettendo a disposizione delle aziende delle impostazioni che consentano di limitare la raccolta dei dati, in sostanza diminuendo la pervasività degli strumenti di Analytics.

Tuttavia, non sembra che queste soluzioni siano sufficienti a risolvere il problema. Da una parte, infatti, alcuni Garanti della privacy, tra cui quello danese, si sono dichiarati critici nei confronti dell’anonimizzazione di tali informazioni in quanto, incrociandole con altri dati raccolti sugli utenti, possono comunque essere utilizzate in modo non conforme ai regolamenti in materia.

Inoltre, la possibilità di limitare la raccolta di questi dati si traduce in una pesante diminuzione delle capacità di GA di svolgere il compito per il quale è nato. Di conseguenza, le aziende che lo utilizzano possono ridurre i rischi di infrazioni del regolamento sulla privacy, ma potenzialmente pagando un prezzo davvero pesante: un drastico calo nella capacità di monitorare e studiare a fondo il proprio pubblico, con ovvie ripercussioni sull’efficacia delle campagne di marketing.

Fortunatamente, per i business c’è una soluzione a tutti questi problemi: gli zero party data.

 

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Gli zero party data: il nuovo paradigma nella raccolta dei dati degli utenti

Per una visione più approfondita degli zero party data rimandiamo il lettore al nostro articolo dedicato. In questa sede basti sapere che questi dati hanno il vantaggio di costituire informazioni fornite dagli utenti in modo consapevole e volontario.

Sono, in pratica, quei dati che gli utenti scelgono di condividere con un’organizzazione in cambio di un’esperienza personalizzata e la loro attrattiva principale risiede nella loro natura consensuale. Per intenderci, alcuni esempi di zero party data possono essere le risposte ad appositi questionari e sondaggi sottoposti dall’azienda stessa, oppure alle wishlist di prodotti che i consumatori desidererebbero acquistare, o, ancora, quelle informazioni offerte tramite la pubblicazione di commenti e recensioni che costituiscono un feedback diretto da parte dei clienti.

Tutti questi dati vengono forniti attivamente, il che significa che vi è un livello implicito di fiducia e di consenso nella loro condivisione. Ciò elimina gran parte delle preoccupazioni legate alla privacy e alle normative come il GDPR, dal momento che la raccolta è basata sul consenso esplicito.

Per le aziende, la raccolta di zero party data può portare a una migliore comprensione dei propri utenti, progettando campagne di marketing mirate ed efficaci. Ed è in funzione di questo potenziale che sta aumentando l’interesse nei confronti delle piattaforme proprietarie per il Community Marketing come SelfCommunity: un ecosistema digitale in grado di ospitare un social network tutto tuo che, in questo modo, ti garantisce il possesso totale dei dati degli utenti e la possibilità di raccoglierli in forma di zero party data grazie alle sue funzionalità.

Che si tratti di informazioni ottenute in modo diretto dagli utenti, come i commenti e i contenuti condivisi, o in modo indiretto, ad esempio i dati relativi ai loro interessi e alle loro interazioni con gli altri membri, SelfCommunity ti permette di sfruttarle al meglio, traducendole in efficaci campagne attraverso un set di marketing tool pensati per valorizzare al massimo i dati stessi.

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